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TheSIGN Academy intervista Massimiliano Sorrentini

Ginevra Bianchini intervista Massimiliano Sorrentini.
Graphic Designer.
Fotografo.
Musicista.
Docente nel corso triennale di Graphic Design alla TheSIGN.

Massimiliano Sorrentini inizia la sua attività di grafica e comunicazione nel 1998. Si diploma a pieni voti all’Istituto Statale d’Arte di Mantova, frequenta per diversi anni ed esami la Facoltà di Lettere e Filosofia di Verona e Bologna, occupandosi, nel contempo, di musica, letteratura, grafica, fumetto e pittura ad acquerello, acrilici e tecniche miste. Tra i venti e i trent’anni si occupa anche di fotografia, passando al digitale con Photoshop. È stato Art Director presso lo studio di Comunicazione Masterstudio di Mantova, prima, e presso l’etichetta discografica e collettivo di musicisti El Gallo Rojo, poi, di cui ha curato più di 70 uscite discografiche. Ha lavorato per quasi quindici anni come freelance, occupandosi di molti progetti per editoria, merchandising, advertising, packaging, illustrazione e, solo per i primi anni duemila, anche della progettazione di interfacce per siti web e cd interattivi. Nel 2010 si è trasferito a Firenze dove continua le proprie attività.

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Qual è stato il punto di partenza della tua carriera?
Non penso di poter dire che ci sia stato un punto di partenza della mia carriera, fondamentalmente perché non credo nel concetto di carriera applicato alla mia vita, in primis e alla mia attività professionale, in secundis. L’idea di una carriera da inseguire o consolidare porta solo frustrazione con pochissimi – e forse nessuno – aspetti positivi ed oggi, sulla scorta della mia esperienza personale, posso serenamente ritenermi contrario a questo tipo di approccio. Il mio periodo più produttivo, per tentare di rispondere alla domanda, è stato tra i trenta e quarant’anni, quando ho iniziato a sviluppare un’idea di comunicazione più chiara e personale. Confrontandomi direttamente con il mercato ho lavorato come Art Director presso Masterstudio, uno studio di comunicazione d’impresa a Mantova, prima, e poi presso El Gallo Rojo, etichetta discografica indipendente che fondai con altri amici e musicisti nel lontano 2006. Prima di quello ero un libero professionista con partita Iva che si occupava di tutti i ruoli, account, copywriter, grafico, fotografo, tentando di sbarcare il lunario con lavori di ogni tipo. Forse questo periodo è stato quello più formativo poiché mi resi conto che dalle idee romantiche e del “bello” da cui ero partito al mercato effettivo ci correva come dal pianeta Terra alla Fascia di Kuiper. Inoltre l’esperienza di ricoprire tutti i ruoli di uno studio grafico, benché impossibile e, di fatto, nemmeno corretto, mi ha fatto meglio comprendere la giungla là fuori, lontano dai paradisi digitali del monitor e delle palette colori del “più bello, meno bello”.

Come hai unito nel tuo lavoro grafica, musica e fotografia?
Se per unire intendi la questione del tempo, beh, ero giovane e pieno di energie! Dall’età di diciassette anni sono stato sempre molto curioso e onnivoro verso qualsiasi forma d’arte e di conoscenza. Ho un diploma di commis de cuisine (la cucina, il mio primo grande amore) e poi un diploma di Maestro D’Arte conseguito dopo quell’esperienza. Tra i due diplomi ci furono esperienze lavorative traumatiche ma assai formative. Fare lo sguattero per dieci ore al giorno nei ristoranti all’età di sedici anni diciamo che mi ha aperto gli occhi. Ma sono stati i successivi lavori di idraulico sui cantieri prima e di lavoro a catena in fabbrica dopo che mi hanno convinto del fatto che tornare a studiare sarebbe stata un’opportunità migliore per i miei interessi e, forse, per il mio futuro. Da quel momento ho portato avanti parallelamente tutte le cose insieme. Inizialmente, oltre gli studi all’Istituto d’arte, lavoravo la sera come pony pizza, studiavo la batteria, studiavo fotografia, dipingevo. Finite le superiori mi sono iscritto all’Università di Lettere e Filosofia, con indirizzo filosofico, prima a Bologna poi a Verona. Essendo lavoratore ero uno studente non frequentante ed in quel momento iniziai ad interessarmi alla grafica come professione. Grazie a Marco Rodolfi, un eccellente grafico e creativo che aveva studiato all’ISIA di Urbino – scuola che allora era il Sacro Graal della grafica in Italia – feci i miei primi passi. Marco ha tenuto a battesimo tutti i grafici di Mantova dagli anni novanta fino ai primi duemila. Andavo nel suo studio a parlare, osservavo come lavorava e gli sottoponevo quello che facevo: lui mi consigliava, aiutava, senza mai imporre le sue idee dall’alto al basso. Una specie di scuola “a bottega” a cui devo molto e che oggi è quasi impensabile immaginare. Non avendo clienti spesso mi inventavo copertine di libri, dischi, manifesti e, quando potevo, mi proponevo gratuitamente. Dopo un po’ decisi di mollare il pony pizza (del resto lo feci per otto lunghi anni) aprii una partita Iva e iniziai a cercare clienti. Nel frattempo studiavo filosofia e facevo concerti, incidevo qualche disco, scattavo foto nei miei viaggi con la mia Yashica MP. Verso i trent’anni rinunciai all’idea della laurea in filosofia perché l’attività di musicista e grafico si era fatta più impegnativa. Della fotografia mi sono sempre occupato nella grafica: con l’arrivo del digitale diventò, poi, tutto più semplice, rispetto alla fotografia analogica, le pellicole, le scansioni e tutte le problematiche relative a quel mondo. Sempre in quel periodo iniziai anche ad insegnare nei corsi di formazione professionale Photoshop e Illustrator e, quando arrivò, anche InDesign. Nel 2006, poi, ci fu l’inizio del progetto con il collettivo di musicisti indipendenti di jazz e musica di avanguardia con cui fondammo un’etichetta discografica di cui ero Art Director oltre che musicista in diversi progetti. Lavoravamo con grafici, illustratori, fotografi indipendenti bravi e sconosciuti: l’idea di fare personalmente tutte le grafiche mi annoiava nella sua inutile autoreferenzialità. Stampammo più di settanta dischi nel corso di dieci anni. Fu una bellissima esperienza umana ed artistica, irripetibile, anch’essa, nei tempi attuali. A guardarmi indietro oggi viene da chiedermi dove trovassi il tempo per dormire!

In che corsi insegni all’Accademia?
All’Accademia TheSIGN insegno, da sette anni, Photoshop e Storia della Grafica al primo anno, mentre con il terzo anno ci occupiamo di sviluppare progetti di comunicazione e grafica per clienti reali. Quest’anno è stata la volta del Goa Boa Festival di Genova, un’esperienza interessante e a suo modo divertente.

Ci sono degli autori che ti hanno particolarmente influenzato nella formazione?
Per la grafica, a parte il già citato Marco Rodolfi, direi inizialmente architetti, visto che il mio professore di disegno professionale, Gianni Campi, era fissato con razionalismo e funzionalismo: Scarpa, Wright, Le Corbusier. Mi piaceva molto anche Aldo Rossi. La grande meteora nella grafica per me fu David Carson: lo considero l’ultimo colosso della grafica del ‘900 e non solo. Non a caso il mio corso di Storia della Grafica si chiama da Gutenberg a David Carson, ossia dalla nascita alla fine della stampa. The End of Print è, per l’appunto, il celebre libro di Carson, forse il libro di grafica più venduto al mondo. Ho copiato Carson – senza successo – decine di volte. Ma ci sono anche tanti altri nomi: Albe Steiner, Bob Noorda, insomma tutta la “golden age” italiana degli anni ’60 e ’70, che poi era quella che vedevo da piccolo nei manifesti e alla televisione. Per la fotografia e la musica – ma anche per i fumetti e l’illustrazione – l’elenco sarebbe troppo lungo. Un autore che trasversalmente taglia tutti questi campi e che venero è Stanley Kubrick che, non a caso, tra l’altro, nasce come fotografo. Vidi 2001 Odissea nello Spazio a dodici anni e mi folgorò. Non ci capii niente ma quelle immagini e quella musica incredibile – György Ligeti su tutti – mi colpirono al cuore e forse mi influenzarono nel modo di “raccontare le storie” senza spiegoni e metaforone ma semplicemente “accettando il mistero”, una cosa che oggi credo manchi molto.
Dopo di lui, forse, solo David Lynch ha raggiunto alcune delle sue altezze.

Hai dei progetti all’attivo in questo momento di cui ci puoi parlare?
Sto lavorando all’idea di una mia etichetta indipendente in cui, con un altro paio di amici musicisti, vorremmo pubblicare online la nostra musica e non solo. Sto studiando un po’ di più la musica elettronica e buttando giù delle idee. Con questa etichetta vorrei occuparmi anche di libri, t-shirt, gadgets, e tutto quello che mi viene in mente. Insomma vorrei riunire tutte le mie conoscenze e passioni per produrre qualcosa che stia al di fuori di un’idea di mercato trendy, per così dire. Dopo tanti anni di attività professionale ho bisogno di fare qualcosa che sia svincolato dalle leggi della domanda e dell’offerta: voglio essere libero di poter pubblicare quello che mi piace senza preoccuparmi del fatto che sia vendibile o che debba piacere ai più. Una specie di etica derivata dalle fanzine punk dei primi anni ’80 che leggevo da piccolo: un caleidoscopio libero e senza regole, senza la necessità di essere riconosciuto da chicchessia o di dover dimostrare qualcosa. Forse nell’era del digitale e del pensiero liquido – ammesso che ci sia rimasto un pensiero – tutto questo è anacronistico e di non particolare interesse ma, del resto, mi ritengo in pieno “un uomo del ‘900”.

Che consiglio daresti ai giovani graphic designer che si affacciano ora sul mondo del lavoro?
Ammesso che qualche studente sia arrivato a leggere tutto fino a qui credo di aver già dato diversi consigli, per così dire, tra le righe. Non mi piace dare consigli di ordine generale perché poi si finisce per fare il lavoro dei preti, attività che considero economicamente remunerativa ma umanamente e artisticamente inutile oltre che deprimente. Durante le mie lezioni dico spesso agli studenti che la tecnica può essere appresa da chiunque, le idee un po’ meno. Per avere idee, iperuranio platonico a parte, “nessuno nasce imparato” come si suol dire. Leggere, studiare, guardare film, ascoltare musica, suonare: l’elenco sarebbe infinito. Tutte le attività che ci stimolano, portano ad arricchire il nostro linguaggio e, soprattutto, ciò che siamo, indipendentemente da ciò che farai a livello professionale e a quali saranno i nostri compensi economici.
Insomma il mio è un approccio quasi impossibile che sta tra taoismo, sciamanesimo, punk, ready-made e fenomenologia.

Grazie per quest’intervista!
Grazie a te.

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