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TheSIGN Academy intervista David Barbieri

Ginevra Bianchini intervista David Barbieri.
Videomaker.
Docente nel corso di Video Photo Sound presso TheSIGN.

David Barbieri entra nel mondo del videomaking nel 2011 realizzando video per feste ed eventi. Nel 2012 comincia a studiare Regia Cinematografica e Montaggio, lavorando parallelamente per varie produzioni come Assistente di Produzione. Tra il 2014 e il 2015 realizza Video Corporate e Spot per aziende come Westin e Location Master. Comincia a studiare recitazione a Roma, vincendo nel 2016 una borsa di studio per gli Ivana Chubbuck Studios di Hollywood LA, dove approfondisce il suo percorso di studi e lavora come assistente alla Regia per vari VideoClip Musicali. Tornato in Italia realizza il suo primo Cortometraggio, che viene selezionato come video rappresentativo per la IWCS (International Wood Culture Society). Tra il 2017 e il 2018 realizza Spot e Commercials per aziende come Old Wild West, Daniele Fiesoli srl e Wool&Co. oltre che per varie piccole e medie imprese in Toscana.

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Qual è stato il punto di partenza della tua carriera?
È stato molto presto. Ho cominciato a lavorare come videomaker a sedici anni, ero proprio giovane. Lo posso definire come inizio della carriera, ma anche come inizio dello studio in realtà, sono andate un po’ di pari passo le cose. Poi sai, è difficile definire quando una persona ha iniziato la carriera a tutti gli effetti. Io lo definisco come il periodo in cui ho cominciato a lavorare, che è stato quando ancora andavo al liceo. Infatti l’ho fatto un po’ tra alti e bassi, proprio perché preferivo lavorare o almeno lavorare studiando, piuttosto che studiare e basta. Mi piaceva l’approccio pratico e quindi ho iniziato facendo video per eventi in discoteca ed è stata quella la mia scuola, guadagnandomi qualcosa ma allo stesso tempo affinando l’occhio mentre creavo uno stile che poi in sostanza è diventato il mio. Diciamo che ho fatto scuola riprendendo le persone che ballavano e si divertivano, ma allo stesso tempo ho avuto anche modo di conoscere persone che sono diventate dei collaboratori e sono cresciute insieme a me. Abbiamo iniziato sperimentando per gioco e poi piano piano è diventata una vera e propria collaborazione perché poi ognuno ha cominciato a fare il suo mestiere – chi il pubblicitario, chi il videomaker, il fotografo, il graphic designer e via dicendo e si è creata tutta una rete di persone con cui ho iniziato a fare cose belle.

Com’è stato quindi il passaggio dall’essere ‘la persona che faceva video’ al videomaker professionista?
Penso che il passaggio avvenga in generale quando cominciano a chiamarti anche per altri lavori, al di fuori di quella nicchia dei video per eventi. Magari iniziano a chiamarti da una piccola azienda per fare un video per loro. Poi c’è il passaparola tra colleghi e altre persone che hanno apprezzato il tuo lavoro, e da lì a un certo punto inizi a mettere da parte i soldi dei primi lavori, prendi delle attrezzature più nuove e professionali, inizi ad avere dei veri e propri collaboratori con cui puoi formare un team e passi dalla sperimentazione al vero e proprio lavoro.

È così che è nato Elephant Studio?
Elephant Studio è nata da Thomas Pizzinga, che è tutt’ora uno dei primi videomaker in Toscana. Ci siamo conosciuti guardandoci i video l’uno dell’altro, nel periodo 2013-2014 quando in Toscana cominciavano a chiamarci Videomaker. C’era veramente voglia di conoscersi tra persone che amano questo mestiere. C’eravamo io ed altri, tra cui Umberto Santos, altro bravissimo videomaker, e Thomas che poi ha formato il suo team. Con loro ho cominciato lavorando occasionalmente su piccoli progetti, quando poi ho cominciato a lavorare realmente come regista è nata una vera e propria collaborazione, forse perché cercavano una figura più come la mia. Chiaramente, arrivata ad un certo punto, Elephant Studio ha voluto cominciare a strutturarsi per fare lavori più grossi e quindi una figura come quella del regista è diventata necessaria. Penso mi abbiano voluto dare fiducia e da lì è iniziato un rapporto molto bello di amicizia tra professionisti. La cosa bella di Elephant Studio è che è un team molto aperto di appassionati, tutti con la voglia di avventura e di sperimentare, di andare in giro per il mondo e crescere sempre di più.

Quindi nel tuo ambito è molto importante saper lavorare in team.
Assolutamente! Il videomaker è un lavoro che può essere fatto da solo, perché comunque la figura del videomaker è di quello ‘che fa tutto’, dalle riprese al montaggio al prodotto finale. Tendenzialmente è così. Ed è anche giusto perché in parte è necessario essere in grado di sapersela cavare da soli. Però si arriva ad un certo punto in cui non basta più. Si deve cominciare a puntare sulla collaborazione con persone che sappiano farti crescere come professionista e che magari siano pure più brave di te in alcuni ruoli. Diviene necessario saper riconoscere quando una persona è più brava di te, ad esempio nel montaggio, in modo che ognuno sfrutti al meglio quello che sa fare per riuscire a creare un prodotto di qualità.

Quali sono secondo te gli strumenti fondamentali per diventare videomaker, anche a livello tecnico? Hai dei consigli?
Sicuramente serve avere una videocamera, quella è la base, anche solo per iniziare a sperimentare. La mia prima telecamera era  assolutamente inadatta, non avevo alcun tipo di conoscenza a riguardo, ma ho iniziato a sperimentare con quella. Poi quando impari, ti informi, capisci cosa ti serve davvero, inizi ad investire in qualcosa di meglio. Alla fine arrivi a capire che non esiste telecamera migliore o peggiore, se non quella che va bene per un determinato tipo di lavoro. Devi trovare quella adatta alle tue esigenze, al tuo stile, per quello che vuoi fare tu. Una volta presa, arrivano poi tutti gli strumenti di supporto, come le ottiche, lo stabilizzatore e un buon computer con cui fare il montaggio, che è pure una parte importante. Anche lì ci vuole tanta pratica, tanta passione, impegno e soprattutto bisogna avere, oltre a tutte le attrezzature pratiche, la curiosità – quello è l’elemento fondamentale. Perché devi aver voglia ogni giorno di guardare video su video. Alla fine sapere il linguaggio è facile, sono pochi concetti tecnici, ma per essere un buon videomaker devi avere l’occhio allenato, devi guardare film, documentari, video, tutto quello che ti capita. Più guardi più il tuo occhio si allena. Ormai è facile avere una buona attrezzatura, costa poco, anche con un Iphone di base puoi fare dei buoni video. Quello che conta è il tuo occhio, la tua creatività, il modo in cui ti esprimi. Senza l’allenamento visivo e la creatività si va da poche parti, o almeno si resta un videomaker standard che porta il lavoro a casa, ma che non si espande mai. Penso che ognuno debba avere il suo stile, il suo modo di esprimersi ed è con quello che ti vendi.

Nella tua formazione, ti ha influenzato di più il cinema italiano o straniero? O entrambi?
Sicuramente io faccio parte di una generazione che è cresciuta con il cinema americano. Sono un grande amante di David Fincher, Danny Boyle, tutto un insieme di registi che sono stati alla base di uno stile che avrebbe portato a quello del videomaking. Anche loro prendevano tanto dai videoclip musicali e dai documentari. Anche Steven Spielberg, che io chiamo il ‘babbo’; che ha influenzato tanto la mia generazione. Ma potrei farti un elenco infinito.
Sono cresciuto in un periodo che non era il migliore per il cinema italiano, quindi per me è difficile dire che sono stato ispirato da quello, se non dai colossi italiani, come Benigni, Troisi, quelli che ti fanno vedere i genitori insomma. Il resto è arrivato un po’ dopo. Devo dire che mi sto affezionando solo ora al cinema del mio paese.

Tu sei anche attore, in che misura ti ha aiutato aver studiato teatro nella tua professione?
Tantissimo, la recitazione mi ha aiutato a imparare a dirigere gli attori, che purtroppo è una cosa che molti registi non sanno fare. Io sono sempre stato appassionato di recitazione. Come mezzo di espressione, oltre ad essere una delle arti più antiche, credo che sia una delle più belle e genuine. Gli attori sono persone che mettono sé stessi a disposizione per interpretare qualcun altro, esprimendosi con il corpo e con la voce…è una cosa che mi affascina tantissimo. Quindi ho iniziato a recitare, anche spronato dai miei insegnanti che a quanto pare vedevano del talento in me. Infatti ho anche vinto una borsa di studio, che mi ha portato per un certo periodo a Los Angeles. Anche lì ho cercato tutte le occasioni possibili per stare sui set: non andavo lì per lavorare, non mi facevo pagare, era per fare gavetta. Da un lato studiavo come si recita e da un altro come funziona un set.
Penso che qualsiasi regista dovrebbe studiare almeno una volta recitazione, ma purtroppo spesso viene messa in secondo piano. La maggior parte dei registi non sa dirigere gli attori o comunque parlo di miei coetanei. Invece il rapporto regista-attore è fondamentale, lo vediamo da tantissimi esempi come Toni Servillo e Paolo Sorrentino, Spielberg e Tom Hanks, Tim Burton e Johnny Depp. Per me Los Angeles è stato studiare recitazione, ma soprattutto regia.

Secondo te come mai c’è questo rapporto di distanza quindi tra regista e attore? È un’impostazione del settore?
Ad essere schietto, è perché non viene insegnato nelle scuole di cinema, almeno per quanto ne so io. Di solito i corsi di regia non si basano mai sulla recitazione, non ci si soffermano. Forse anche perché è qualcosa che non si può insegnare, o almeno io potrei spiegarlo perché sono un chiacchierone e mi piace farlo. Do per scontato che uno studente sappia ragionare con la propria testa. E poi escludendo il discorso scuola, è anche perché siamo abituati più a guardare quanto è bella un’immagine piuttosto che quanto funzioni un/a attore/attrice. Però una bella immagine con un interprete mediocre non provoca niente. Forse non viene insegnato abbastanza, non solo in Italia, in generale dico.

Secondo te qual è il fascino dell’espressione attraverso il video?
Per me la cosa più affascinante è poter raccontare per immagini, non aver bisogno di esprimersi per forza a parole. A volte puoi risultare logorroico o puoi magari non essere abbastanza bravo a raccontare a parole qualcosa, e quindi dici ‘te lo faccio vedere piuttosto’. È una cosa che unisce tante altre arti, il sonoro, la musica, la fotografia, la scenografia, gli effetti speciali, la recitazione e molto altro. Io lo vedo come un mezzo di unione, non penso mai che un video sia di una sola persona, il bello del cinema è anche quello. Cinema e videomaking sono due cose un po’ distinte ma la cosa bella è che sono dei lavori di squadra e questo è il loro fascino. Il fatto che uniscano tantissime arti e persone. Facendo il poetico, il cinema unisce ecco. Quando il gruppo funziona, lo vedi il risultato, il prodotto è più bello.

C’è un tuo lavoro di cui sei più orgoglioso o affezionato?
Penso che il progetto su cui ho buttato l’anima e che fino ad ora considero più mio è “F**k different”, il mio primo vero cortometraggio. Ne avevo fatti altri, ma questo è stato un progetto che ha avuto, nel suo piccolo, delle soddisfazioni.
Mi ha aperto le porte a tante conoscenze e sono contento perché è un qualcosa che ho fatto da me. Riguardandolo oggi dopo un paio d’anni che l’ho realizzato penso “magari questo avrei potuto cambiarlo” o “questo avrei potuto farlo diverso”, insomma oggi cambierei un po’ di cose. Ma ne vado comunque fiero perché mi ero imposto di fare questa cosa, di farla bene e in grande. Anzi, alla fine è diventata pure una cosa più grande di quella che doveva essere originariamente, e mi ha dato la possibilità di conoscere persone con cui tutt’oggi collaboro, ci ho fatto amicizia e abbiamo creato un gruppo di lavoro. Abbiamo questa pagina su Instagram e Twitch che è Writing Monkeys, un collettivo di scrittori/sceneggiatori.
Riguardo il corto, ho avuto la fortuna di distribuirlo tramite Zen Movie, con cui ho conosciuto Giulio Mastromauro, regista che ha appena vinto il David di Donatello per migliore cortometraggio con “Inverno”. Lui è un distributore meraviglioso, bravissimo e competente. Mi ha dato la possibilità di portare a festival il mio cortometraggio dove ho conosciuto altri registi, persone che lavorano in questo settore, che mano a mano hanno creato questa rete di conoscenze con cui adesso voglio andare a realizzare il mio prossimo progetto, che però purtroppo è stato rallentato dal Covid-19.
Vado molto fiero di questo mio primo corto perché è stato un po’ la chiave per aprire una bella porta, non la porta delle occasioni, ma mi ha dato la possibilità di conoscere belle persone che mi porto dietro per la mia carriera.

Immagino che il Covid-19 abbia avuto un grosso impatto nel settore.
Sicuramente ci ha rallentato tantissimo, si apre qui un discorso infinito. Anche solo pensando alla chiusura delle sale cinematografiche. Io sono un amante del cinema e mi piace proprio andare a vedere i film in sala, mi manca tantissimo. Quando dico che il cinema unisce, intendo che è un’esperienza di condivisione anche così. Io ancora mi ricordo di quando una precisa volta ho sentito un commento di stupore di una persona seduta vicino a me. A casa non è la stessa cosa vedere film da soli.
Il cinema comunque si sta riprendendo anche grazie alle piattaforme di streaming. Senza Netflix, Amazon Prime o Disney+ sarebbe stato tutto molto diverso. Forse avremmo trovato un altro modo per riprenderci. Per progetti più in piccolo come i miei è più difficile, devi reinventarti. Io mi sono reinventato proprio con Writing Monkeys di cui parlavo prima, che è nato durante la quarantena. Scrivevamo e buttavamo fuori idee, e abbiamo pensato ‘perché non farlo in live su Twitch?’. Dopo un po’ è nata tutta una struttura con cui abbiamo creato anche la pagina Instagram. Spesso ci si domanda come si fa ad andare bene sul web. Beh, facendo quello che ci appassiona. A noi piace scrivere, parlare di creatività. Abbiamo saputo sfruttare bene la situazione, invece di concentrare le nostre energie su progetti che non potevamo portare avanti in quel momento.

Passando dal lato più istituzionale, in cosa consiste il tuo ruolo in Accademia?
Sono docente qui alla TheSIGN di videomaking e anche coordinatore del corso di Video Photo Sound. Mi occupo di strutturare al meglio la didattica, così che sia per gli studenti un percorso più fluido, comprensibile e pratico possibile. Così che abbiano più skill possibili e la mentalità per entrare nel mondo del lavoro. È capitato che alcuni studenti si siano buttati nel mondo del lavoro già mentre erano al terzo anno del corso e questa cosa mi ha reso molto contento, perché mi piace vedere le persone intraprendenti che non si fermano a quello che dico durante la didattica, ma vogliono dare di più.
Mi occupo poi di gestire un po’ le esigenze degli insegnanti, di capire insieme a loro quali sono gli argomenti migliori da dire e quando. Collaboro con loro così che il corso sia il più efficace possibile ecco.

Che consiglio daresti a giovani videomaker che si affacciano ora sul mondo del lavoro?
Questa è la domanda più difficile probabilmente. Posso dare due consigli, uno che riguarda più la creatività, ovvero di sperimentare il più possibile. Provare a fare cose semplici, ma anche difficili, io ho imparato pure sbagliando. All’inizio volevo fare cose che in quel momento erano troppo difficili per quelle che erano le mie capacità, ma così ho imparato a farle e ho affinato le mie capacità. È importante quindi sperimentare, guardarsi intorno, dev’essere il tuo pane quotidiano il video. Non è una professione semplicemente per guadagnare, è un lavoro per cui ci vuole la passione.
Come secondo consiglio invece vorrei dire che per lanciarsi nel mondo del lavoro bisogna proporsi a più persone possibili, non avere paura di rischiare. Quindi andare anche dall’azienda a cui aspiri di più e mandare un portfolio con dei lavori, alla fine qualcuno ti prenderà. Anche se fosse un’azienda piccola, sarà comunque un’occasione per sperimentare. Non abbiate paura dunque di correre dei rischi.

Grazie molte per questa intervista.
Grazie a te!

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Dove trovare David:
Instagram
Writing Monkeys