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TheSIGN Academy intervista Giacomo Guccinelli

Ginevra Bianchini intervista Giacomo Guccinelli.
Illustratore.
Concept Artist.
Human rights trainer.
Formatore e responsabile per la didattica presso TheSIGN.

Giacomo Guccinelli, umanista, dal 2007 lavora come come graphic designer per l’editoria, enti e aziende pubbliche e private nei settori del real estate, della moda, della ricerca e divulgazione scientifica. Formatore dal 2008 in ambito human rights, segue lo sviluppo di progetti ministeriali e locali sull’educazione alle differenze e sulla riduzione di fenomeni di esclusione. Nel 2012 fonda Steam Factory Creative Team, un gruppo di artisti impegnati nella formazione e nella produzione videoludica, con cui lavora come concept artist e character designer. Dal 2014 è docente presso TheSIGN – Comics & Arts Academy, art director e illustratore per lo sviluppo di prodotti divulgativi e d’intrattenimento pubblicati e in via di sviluppo.

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Ciao Giacomo, tu sei una figura molto importante all’interno della TheSIGN, un punto di riferimento e una delle sue colonne portanti. Raccontaci in cosa consiste il tuo ruolo all’interno dell’Accademia e cosa insegni.
Vorrei iniziare dicendo che tutte le componenti dello staff sono importanti, così come tutte le docenti e i docenti, senza i quali avrebbe poco senso anche il mio lavoro in Accademia.
All’interno di TheSIGN io ho un duplice ruolo. Il primo è quello di docente, quindi parte della mia vita è in aula, luogo in cui svolgo attività di formazione e di contatto con studenti e studentesse, e questa è l’attività che mi ha portato, nel tempo, anche a prendermi incarichi di maggiore responsabilità. Mi piace infatti contribuire alla crescita e alla formazione dei ragazzi e delle ragazze, ovviamente negli ambiti che competono alla mia esperienza formativa e professionale, quindi principalmente legati all’illustrazione, alla concept art, e al mondo dell’entertainment, soprattutto quello del videogame.
Mi occupo inoltre del coordinamento didattico, ovvero di organizzare il lavoro di tutti i docenti e le docenti e di scrivere insieme allo staff dell’Accademia l’offerta formativa, e con essa i percorsi di studio, per poi renderli esecutivi con il supporto di tutti i collaboratori con cui modulo la loro messa in atto. Lavoro infatti in strettissimo contatto con Laura e con tutte le altre figure operative alla TheSIGN. Spesso accolgo anche le richieste in merito all’attività didattica degli studenti e delle studentesse. Mi piace molto stare sempre in ascolto: che si tratti di criticità che necessitino una risoluzione, o di condivisioni di traguardi, obiettivi raggiunti da parte degli studenti e delle studentesse, anche una volta finito il percorso all’Accademia.

Infatti proprio a questo riguardo, pensavo a Steam Factory, team creativo che tu hai fondato e dove hai coinvolto molti ex allievi e allieve e persone che sono poi diventati docenti a scuola.
Si, infatti Steam Factory | Creative Team nasce da un’idea mia e di un mio amico e socio per la vita che è Michele Lanzo, anche lui docente di Game Design all’Accademia. Nasce dunque con la volontà di creare un team che possa lavorare nell’entertainment ma soprattutto in videogiochi che abbiano un impatto sociale importante. Spesso quindi lavoriamo con Università, istituzioni, con ONG, Amnesty International, con tutte quelle realtà per cui sviluppare un gioco non è mai soltanto entertainment ma è anche ricaduta benefica sociale del prodotto. Creiamo videogiochi con lo scopo di diffondere particolari concetti di inclusione. Questo è il core tematico che mi interessa e che svolgo con Steam Factory. Molti dei miei collaboratori sono anche docenti TheSIGN e alcuni sono stati miei allievi o allieve prima di iniziare a lavorare in questo settore.

Spostandoci sul lato più personale, qual è la stata la tua formazione universitaria e artistica?
Ci sono stati un po’ di cambiamenti nella mia vita. Sono partito con un liceo scientifico, seguito poi da una Laurea in lettere. Ho comunque sempre disegnato, ma all’inizio, quando ero alle prime armi, non credevo che il disegno potesse diventare un lavoro, o almeno ho creduto così fino alla fine del mio percorso di laurea. Credevo che la mia attività lavorativa potesse essere solo quella acquisita durante gli studi all’università, e poi le cose sono cambiate: ad un certo punto ho capito, anche frequentando questa Accademia tanti anni fa (per studiare animazione) che il lavoro c’era e che avrei potuto lavorare anche disegnando. Questa realizzazione per me fu la mia ‘rivoluzione copernicana’ [ride] – perché il resto divenne poi hobby. La letteratura continua tutt’oggi ad esser parte della mia vita, contamina costantemente anche ora la mia attività, ma il mio core business è legato ormai da molti anni all’attività da creativo e disegnatore.

Quali sono gli elementi principali con cui definiresti il tuo stile?
La questione dello stile è complessa, perché per tanti anni ho lavorato nell’entertainment, campo che, nonostante offra lavori estremamente stimolanti, richiede anche di piegare la propria espressione tecnico-artistica alle richieste del mercato e delle aziende con cui si collabora. Ho cominciato a farmi domande sul mio stile non tantissimi anni fa ed è ancora un work in progress. Penso che si modifichi sempre, per tutta la vita in qualche modo, perché, lo dico sempre anche ai miei studenti e studentesse, lo stile non è soltanto tecnica, ma anche ricerca interiore: è capire la propria urgenza comunicativa, quale bisogno soddisfiamo nel momento in cui prendiamo, anche e soprattutto senza alcun mandato, la matita in mano e cominciamo a disegnare. Quindi descrivere il mio stile significherebbe in qualche modo fare una fotografia della mia vita in questo momento [ride]. Comunque per chiunque volesse approfondire questo discorso, consiglio di cercare la mia pagina Instagram ‘La Teogonia Illustrata’, perché forse, più di usare tante parole, è meglio vedere con i propri occhi. Sicuramente il mio disegno illustrato, quello più personale, e più legato ad un immaginario adulto, si caratterizza per un segno grottesco, distorto, universi anche grafici a cui mi affaccio con una pluralità di approcci, sia in tecnica tradizionale sia in digitale.

Collegandoci allora al tuo progetto ‘La Teogonia Illustrata’, com’è nato, come mai questo nome?
La Teogonia Illustrata nasce per gioco. Era un periodo in cui non avevo più tanta voglia di mettermi in gioco nell’entertainment con mandati che mi imponevano di modificare ulteriormente la mia espressività, quindi ho iniziato a creare uno spazio autoriale in cui potessi respirare nuovo ossigeno creativo. Il nome nasce da un suggerimento che mi diede la mia amica della vita e collega, Laura Vaioli, che mi disse “perché non prendi un riferimento letterario, visto che a te piace un sacco la letteratura ed è stata per anni il tuo argomento di studi?” e mi consigliò così Esiodo. Da lì cominciai a rileggere la Teogonia e anche un sacco di altre opere mitologiche fondative come Le Metamorfosi di Ovidio, un sacco di bestiari classici e medievali, e molto altro. Iniziai dunque a sviluppare un progetto che tenesse insieme letteratura, disegno, il passato mitologico e il presente della cronaca e che allo stesso tempo si ricollegasse in modo diciamo un po’ junghiano al principio di individuazione, ad un processo di riconoscimento della propria ombra, ad un’attitudine appunto che ha a che fare con l’imparare ad abbracciare i propri lati oscuri o poco visibili dando loro piena cittadinanza nella nostra esistenza e quindi anche all’interno nella nostra identità artistico-creativa.

Tu sei anche uno Human Rights Trainer, che cosa intendi con questo titolo?
Nel lontano 2006, quando studiavo ancora all’università – stavo finendo – cominciai a lavorare con delle onlus e associazioni LGBTQIA+, che avevano a che fare con l’inclusione di persone gay, lesbiche, transgender, intersex, bisessuali, asessuali, queer e tutte le altre infinite sfumature della comunità. Volevo in qualche modo contribuire al miglioramento della vita di molte persone. Credo che il cambiamento lo mettiamo tutte e tutti in atto, anche nel nostro piccolo, dedicandoci ad esso con le modalità che ognuno sente più consone a sé.
Iniziai quindi a lavorare come trainer nelle scuole, dopo una lunga formazione, per progetti che riguardavano l’inclusione e la valorizzazione delle differenze, e la prevenzione e riduzione di fenomeni di esclusione nel gruppo dei pari. Negli anni mi è capitata la fortuna di coordinare dei progetti nazionali legati appunto alle identità nelle scuole di ogni ordine e grado. Ho lavorato pure nella scuola dell’infanzia e poi nel 2008 ho iniziato a fare formazione per Amnesty International, associazione per cui lavoro tutt’ora. Con Steam Factory abbiamo sviluppato per loro anche “Hatesick”, un gioco che nel contesto dell’entertainment parla di hate speech e messaggi d’odio online. Dal 2006 al 2014 sono stati gli anni più intensi di attivismo in cui ho avuto l’opportunità di lavorare come formatore sia in Italia sia all’estero.

E invece cambiando un po’ argomento, che cosa hai pensato quando ti è stato proposto di creare l’artwork per il Firenze Comics Day del 25 Marzo 2021? Il tema è Animalia, spiegaci qual è il concept dietro la tua particolarissima composizione e quali sono gli elementi principali che la caratterizzano.
Partiamo dal fatto che io sono molto estroverso quando non parlo delle mie cose, e invece più schivo quando parlo dei miei artwork, soprattutto al di fuori della Teogonia Illustrata. Per cui all’inizio quando mi è stato proposto qualche dubbio ce l’avevo, anche legato alla qualità finale del prodotto.
Posta questa cornice, Animalia è ovviamente un tema che scaturisce dal mondo animale reale e immaginato, dalla bestialità e dall’istinto, elementi che ritornano spesso nel mio lavoro e nei miei artwork. Animalia è il sommerso, l’oscuro, tutto quello che spesso chiudiamo in cantina ma che poi torna a bussare perché vuole uscire. Per me affrontare Animalia significa in qualche modo scontrarmi con quelle bestie che non vorresti mai in salotto, ma che sai benissimo essere nascoste in cantina o in mansarda.
Ho approcciato l’artwork in maniera caotica, dove il caos però ha una funzione strutturale. Non mi piaceva fare qualcosa di perfettamente coordinato in un artwork che a mio parere doveva mostrare un approccio pluristilistico dal punto di vista dei mezzi e degli strumenti utilizzati e non doveva mostrare solo animali o vegetazione, ma delle commistioni, delle inter-connessioni tra elementi, identità fluide. In queste creature i tratti umani si fondono a tratti bestiali che a loro volta si fondono a tratti floreali – perché il continuum, il flusso ininterrotto è l’idea che volevo far emergere. Nonostante ogni elemento abbia la sua identità, è comunque inalienabile dagli altri, tutto è interdipendente e gli elementi funzionano se stanno insieme, se non vengono separati. Questo di base è quello che volevo comunicare con l’artwork realizzato per Animalia.

Hai qualche progetto all’attivo in questo momento di cui ci puoi rivelare qualche dettaglio?
Ho un po’ di progetti in cantiere. Come ben sai, chi lavora nell’entertainment non ne può parlare spesso perché siamo sotto NDA e accordi di riservatezza. Però sicuramente tra i miei progetti c’è un videogame legato a tematiche sociali, in questo caso con una ricaduta sociale molto importante perché avrà a che fare direttamente con l’infanzia, e poi alcuni libri, uno quasi concluso che è il frutto di una bellissima collaborazione con Laura Vaioli.

Ti faccio un’ultima domanda. Qual è il consiglio che daresti a giovani concept artist e illustratori che si affacciano ora sul mondo del lavoro?
Il mio consiglio ai giovani è quello di studiare sempre. Soprattutto per un mercato e una tecnologia che si evolvono costantemente e a ritmi sostenuti. Studiate sempre e trovate piacere nello studiare, nell’approfondire e nell’essere curiosi e curiose; siate onnivori di qualunque cosa perché le cose più belle, originali e con più personalità a mio avviso non escono mai da isolamenti snob e atteggiamenti iper-selettivi, ma da una commistione continua fra il serio e il faceto, il grottesco e il raffinato, l’alto e il basso. Siate quindi sempre curiosi e curiose nutrendovi di quanto il mondo vi condivide.
Poi se sei già un/a giovane illustratore/trice o concept artist che si sta affacciando sul mercato, ti consiglio fortemente di procedere con determinazione, ci saranno tanti anni di gavetta, e tanti altri in cui, pur facendo una professione che ami, potresti trovarti anche in grande difficoltà con le consegne, con i tempi del lavoro (e molto altro), ma è pur vero che questo è un lavoro che eleggiamo da una base di amore per ciò che ci piace, ci realizza e ci rende felici e completi, e questo non vuol dire non faticare, ma faticare facendo ogni giorno ciò che si ama – ecco, credo questo sia qualcosa di impagabile.

Ti ringrazio molto per questa intervista!
Figurati, grazie molte anche a te.

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