Blog, Un caffè con...

TheSIGN Academy intervista Daniel Cuello

Ginevra Bianchini intervista Daniel Cuello
Fumettista.
Direttore Artistico del Triennio di Graphic Novel & New Media.

Daniel Cuello, argentino di nascita e italiano per caso, sfida il malumore contemporaneo scrivendo e disegnando strisce, fumetti e illustrazioni. Noto, oltre che per le sue illustrazioni, anche per i suoi Momenti di vita reale, semplici situazioni quotidiane viste con occhio cinico ed iracondo, raccolte nel volume Guardati dal beluga magico (Bao Publishing, 2018). Nel 2017, sempre per Bao Publishing, pubblica la sua prima graphic novel Residenza Arcadia e, nel 2019, Mercedes, entrambe opere che ricevono un grande apprezzamento da parte di pubblico e critica.

—————————————————————–

Vorrei iniziare facendoti una domanda generale, ovvero come ti sei approcciato al mondo del fumetto e della graphic novel? Cosa ti ha spinto?
Intanto ho sempre amato disegnare da quando ero bambino piccolo, quando vivevo ancora in Argentina. Disegnavo sempre qualcosa di personale, non mi limitavo a copiare o ricalcare disegni di Topolino ad esempio. Volevo sempre fare qualcosa di mio, inventare. E disegnare poi è la cosa più economica che un bambino può fare e quindi mi sono messo a disegnare su quadernetti, sulle agende che regalavano le banche, con le penne regalate. Il primo fumetto vero e proprio che ho realizzato è stato quando avevo dieci anni, ero già in Italia, ed era un personaggio che si chiamava Gofi. Avrò preso il nome da Goofy, Pippo, però non mi sono curato molto della faccenda, gli ho preso il nome ed è diventato Gofi con una sola O ed era un coniglio. Lo disegnavo su un’agenda regalata da una banca, non ricordo quale. Era però un personaggio del tutto nuovo che non esisteva, a parte il nome che si ispirava a Pippo.
Ero un bambino ma ero già consapevole che mi annoiavano le storie in cui ad ogni fine puntata e inizio dell’episodio successivo finisse tutto e poi ricominciasse tutto da capo, che si ritornasse sempre allo status quo iniziale. Mi dava molto fastidio questa cosa e quello che ho fatto io è stato realizzare questo personaggio che invece di finire ad ogni puntata e ricominciare da capo progrediva, un po’ come le serie tv e molti fumetti che si fanno adesso. Gofi si è sposato, ha avuto dei figli, una macchina, una macchina del tempo… C’era un po’ di fantascienza. È così che ho iniziato a fare fumetti, a dieci anni e sostanzialmente non ho mai più smesso e soprattutto non ho mai smesso di voler fare qualcosa di mio, personale che non fosse già scritto, già esistito, che non fosse qualcosa di già visto. Volevo qualcosa di fresco e quindi ho iniziato a fare fumetti, illustrazioni molto personali che nel tempo hanno acquisito il mio stile attuale

Per i tuoi personaggi, dato che dici di volerci mettere molto di tuo, sono ispirati a persone che hai incontrato che ti hanno colpito in particolar modo o sono proprio creati dal nulla?
Allora, alcuni sono creati dal nulla, però la maggior parte dei personaggi sono realmente esistenti, anzi forse è esagerato da dire, però sono ispirati a persone che ho visto al bar, sull’autobus, insegnanti o compagni di classe, persone che ho incontrato, amici di famiglia… Persone che poi ho trasformato, a cui ho rubato ad esempio una corporatura, un tic, un modo di parlare, di urlare… piccole cose che rubo qua e là a persone realmente esistenti e poi le integro nei personaggi, creando una specie di puzzle, di Lego che costruisco con pezzi di diverse persone. Persino con parti di me, può non sembrare, ma molte caratteristiche o vicende che vivono i miei personaggi sono autobiografiche.

Prendendo come esempio la tua pubblicazione Residenza Arcadia, che mi è piaciuta moltissimo, ho trovato estremamente interessante come racconti questi episodi di quotidianità però in modo piuttosto particolare. Ho apprezzato la caratterizzazione dei personaggi che sono delle persone semplici che riesci però sempre a rappresentare con questo elemento di singolarità ed individualità che anche le persone più modeste possono avere. Questa è una cosa che ho trovato molto interessante dei tuoi personaggi…
Perché sono molto quotidiani, realistici proprio perché le storie interessanti per me, le più coinvolgenti, sono più vicine al lettore. Più tu riesci ad avvicinarti al lettore – tu scrittore, regista, qualunque sia il tuo ruolo di comunicatore in quel momento – minore è la distanza tra te ed il lettore in quel momento, più è facile comunicare, empatizzare, mandare dei messaggi, fargli capire qualcosa. A me piace tantissimo usare personaggi molto realistici, ben caratterizzati e che abbiano delle fragilità banali, semplici, come quelle che abbiamo tutti. Poi in Residenza Arcadia mi è riuscito bene fare questa cosa perché sono anziani [i personaggi] quindi è facile trovare dei tic, delle cose che caratterizzano proprio gli anziani, che vedi in tuo nonno, nel tuo vicino di casa – tutti hanno avuto un vicino di casa rompiballe, tutti hanno avuto un insegnante autoritario, abbiamo vissuto tutti un personaggio del genere quindi è stato facile e soprattutto divertente per me. A me piace andare ad investigare la psicologia dei personaggi, è proprio la parte che più mi piace del mio lavoro, studiare psicologicamente i miei personaggi che poi faccio recitare nelle storie.

Infatti anche perché più c’è uno studio a livello psicologico, umano, più per il lettore l’opera è bella da fruire perché il personaggio che è stato messo nella storia non è piatto e bidimensionale, là solo a simboleggiare qualcosa. Mi è piaciuto l’incipit in particolare perché un mio vicino di casa aveva un fucile [Daniel ride] e minacciò i miei genitori una volta durante il periodo di trasloco nella nostra nuova casa, mi ci sono rivista molto essendo una storia di famiglia.
Ritornando a noi invece, c’è nella tua vita un libro o un fumetto o un artista che è stato un‘influenza importante per te?

Allora, io cito sempre gli stessi perché effettivamente sono due fumettisti che mi hanno proprio formato e da cui ho palesemente rubato anche alcune scelte stilistiche nel tratto e nel modo in cui racconto. Sono Guy Delisle di [Cronache di] Gerusalemme, Cronache Birmane, Fuggire che è l’ultimo che ha fatto, e poi Quino, scomparso da poco, lui me lo sono proprio studiato, qui in Italia è famoso per Mafalda ma in realtà ha fatto anche molte vignette in cui non c’è neanche il testo e sono le migliori perché sono quelle dove fa recitare semplicemente le espressioni dei personaggi e i loro corpi. Sono ancora più interessanti perché riuscire a dire qualcosa senza usare le parole è una vera e propria sfida. Lui ci riusciva benissimo, era davvero geniale e a lui ho rubato tantissimo.
Come libro invece cito sempre Quel che resta del giorno (OT: The Remains of the Day) di Kazuo Ishiguro, che ha vinto il Nobel qualche anno fa.

Bellissimo. C’è un film anche…
D: Si c’è un film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson. Quel libro mi ha proprio spiazzato perché, come faccio pure io con Residenza Arcadia ed anche con Mercedes, prende la storia di questo personaggio, questo maggiordomo, anche inetto, pur avendo un ruolo di autorità nella casa, nella villa, in cui lavora, rimane una persona che non ha mai avuto il coraggio di esporsi, di andare oltre, di esprimere i suoi sentimenti. Quindi Kazuo Ishiguro descrive la sua mentalità in un modo così perfetto, geniale che ti fa sembrare interessante la vita piatta di un maggiordomo e per me è una cosa fenomenale, c’è riuscito magistralmente. Tra l’altro è una storia d’amore, anche se parla di “quel che resta del giorno” che è una metafora di quello che resta della vita, della vecchiaia, del fatto che poi alla fine lavori, lavori, lavori ma ti rimane poco tempo per quello che vuoi fare veramente nella vita. Però in realtà è una storia d’amore vera e propria in cui l’amore non viene mai detto, pronunciato, lui non riesce ad esprimere i propri sentimenti nei confronti della governante, e anche lei non ci riesce perché vede che lui ha un muro intorno a sé stesso, ha creato delle barriere enormi. Quel libro mi ha aperto anche un mondo perché ho capito, l’ho letto quando ero un ragazzo, che puoi descrivere cose enormi come l’amore da una parte, l’esistenza intera di un essere umano, partendo da cose banali come servire un piatto al tavolo, mettere bene le posate sul tavolo di qualcun altro. Per me è stato fenomenale.

Concordo, è davvero un bellissimo libro. In letteratura inglese è un caposaldo anche per raccontare la decadenza dell’aristocrazia inglese vista dall’esterno, cioè da qualcuno che non ne fa parte, ma che tuttavia da un lato ne fa parte invece di quel mondo perché tutta la sua vita è stata al servizio di un Lord.
Invece, una domanda che più si distanza da questo, come mai secondo te, vivendolo dall’interno, c’è stato negli ultimi dieci anni, soprattutto qua in Italia, questo boom nella produzione di graphic novel, anche tanto di ispirazione americana e invece c’è stato un calo – a livello di produzione e fruizione – negli albi seriali?

Secondo me ci possiamo collegare alla prima domanda che mi hai fatto, quando ti raccontavo del perché io da bambino mi annoiavo a leggere le avventure di un personaggio che ad ogni episodio doveva ricominciare tutto da capo. C’era uno status quo, un evento scatenante, un’avventura e poi però alla fine la risolveva e ritornava tutto come all’inizio della puntata. Nella puntata successiva, Paperino, Dylan Dog, o chicchessia era sempre da punto a capo, sempre uguale, sempre perfetto che è quanto di più lontano esista dalla realtà, perché noi tutti viviamo ogni giorno, anche se ci sembrano tutti identici ma in realtà ogni giorno… sto per dire una cosa quasi decadentista, però ogni giorno ci porta sempre più vicino alla morte, stiamo tutti invecchiando, stiamo tutti progredendo, ci stiamo sviluppando in qualche modo e quindi quel tipo di narrazione in cui rimane tutto identico dove alla fine dell’avventura si torna al punto di partenza, è molto lontano dalla realtà. Adesso la gente invece vuoi per come si fruisce della narrazione, preferisce qualcosa di più concreto, più realistico, più vicino alla propria vita, cerca di evadere con altro non con la letteratura. Cerca di evadere con i social, in un libro però vuole qualcosa di più forte, di consistente. Sono cambiati i tempi e poi dobbiamo dire che è una cosa anche ciclica, come con i supereroi che per esempio hanno avuto un loro boom in un’epoca storica, poi sono scomparsi per un po’ poi sono tornati ed ora sono sulla cresta, però è inevitabile che prima o poi ci sarà di nuovo un calo di interesse. Per esempio, la moda dell’Egitto, della tematica dell’Egitto, da quando l’Occidente ha scoperto l’Egitto antico c’è stato un momento in cui gli inglesi andavano, rubavano, si portavano a casa le cose in stile egiziano, si portavano i pezzi di piramide, i sarcofagi. Poi questa cosa per un po’ si è dimenticata, poi è ritornata negli anni ’90 di moda, c’è sempre questo andamento ciclico insomma e penso che nel fumetto stia capitando la stessa cosa, siamo in un momento in cui la graphic novel sta andando più della serialità, dato che sta cambiando anche il posto dove tu vai ad acquistare il fumetto. Tralasciando il 2020 che è un anno un po’ strano e particolare che bisogna capire come andrà a finire, prima si andava in edicola a comprare i fumetti adesso i fumetti li compri anche in libreria, cosa che prima non si faceva. In libreria uno va a comprare un libro che inizia e finisce, è raro che vada ad ordinare un episodio di una saga che va avanti per decenni, è diverso.

E invece cos’hai pensato quando ti è stato proposto di diventare il direttore artistico del Triennio di Graphic Novel & New Media all’Accademia TheSign?
Eeehh!? E subito dopo, ma sul serio? Io? Più che altro ero stranito dal fatto che io, autodidatta, avessi ricevuto questa proposta. In effetti però avevo già fatto delle lezioni di storytelling a TheSign, e avevo ricevuto un buon feedback, dagli studenti, prima di tutti, quindi ho capito che il mio sguardo in certo senso “esterno” dal mondo accademico fosse quello che cercavano. Staremo a vedere. Mi piace fare cose nuove.

Siamo infatti estremamente felici di averti come parte integrante del nostro corpo docenti! Ritornando invece al tuo lavoro, hai qualcosa prossimamente in uscita?
Sto già lavorando al prossimo libro, uscirà in primavera del 2022, quindi fra un po’. [ride] Sono nella fase calderone, sto mescolando il brodo primordiale, sto iniziando adesso lo storyboard, ho messo a fuoco i personaggi e devo iniziare a scrivere i testi. Come ti dicevo all’inizio, è la parte che più mi diverte perché sto studiando psicologicamente, come un profiler dell’FBI, i vari personaggi per poi farli interagire tra di loro, farli recitare bene, odiarsi a sufficienza all’interno della storia.

Bene, peccato che dovremo aspettare ancora un po’ per vederli! Ti faccio un’ultima domanda allora, che consigli daresti ad una persona che si sta affacciando ora nel mondo del fumetto, della graphic novel, che vuole iniziare a lavorare?
Intanto la primissima cosa da fare non è neanche disegnare, che lo metto come seconda cosa, ma spalancare gli occhi e aprire le orecchie il più possibile perché stiamo vivendo in un’epoca che cambia molto più velocemente di quanto noi possiamo percepire e non possiamo sapere come sarà il mondo dell’editoria, del fumetto o dell’intrattenimento fra dieci, quindici, venti anni. Non lo possiamo sapere, ma sappiamo che sta cambiando. In realtà la cosa principale da fare è osservare bene, cercare di capire in quale fluido ci si trova e in che direzione sta andando la corrente per non perdersi, perché altrimenti se resti indietro disegnare rimane un hobby. Se invece lo vuoi fare come lavoro, devi sapere dove sta andando quella corrente lì e buttartici e a quel punto lì ti metti a disegnare quello che vuoi, disegni le tue trenta ore al giorno sabato e domenica compresi, è quello che abbiamo fatto tutti.

Grazie allora per questa chiacchierata!
Figurati e grazie a te.

——————————————-
Dove trovare Daniel:
Website
Instagram
Facebook
Twitter